lunedì 3 febbraio 2014

Braccialetti rossi deja-vu

Una fiction tv, Braccialetti rossi, intrisa di buonismo e assurdità medico-sanitarie-ospedaliere, confezionata per commuovere più che informare o intrattenere. Una prima puntata guardata per curiosità, una seconda solo perchè non c'era niente di meglio... Eppure, improvvisamente, ha fatto scattare qualcosa che ha saputo riportarmi indietro di quarant'anni. Ho chiuso gli occhi mentre il cuore ha cominciato a battermi all'impazzata e, di colpo, ho ricordato tutto ciò che il tempo aveva accuratamente cercato di rimuovere, volti, voci, luoghi, esperienze che non avevo mai potuto condividere con nessuno.
L'ospedale era l'IOR di Bologna, l'Istituto Ortopedico Rizzoli nella sua sede storica, un antico convento immerso nel verde, sulle colline a nord della città. Enormi corridoi, stanze ricavate dalle cellette con i soffitti a volta, finestre talmente grandi da sembrare portoni, un brulichio di volti e corpi sofferenti e personale medico e paramedico che non era ancora stato sfiorato dalla rivoluzione del dottor Sorriso, ma sembrava piuttosto provenire direttamente dai campi di concentramento della Germania nazista.
Quel luogo è stato la mia casa, ogni tre mesi, per più di tre anni.
In quel luogo mi sono alleata con altre bambine e ragazze, ho gioito, sofferto, dormito, immaginato, creato, pianto e sperato... ma soprattutto ho toccato con mano la sofferenza e l'elaborazione del disagio e della disabilità.
Ho ripensato all'infermierona Eva, al bel dottore Manuelli e all'antipaticissimo dottore Luppis, alle insopportabili e stronzissime suore, e poi alle mie coetanee Annalisa Brunori di Anfo, Annagrazia Pinna di Caronno Pertusella, a Nella Dini di Montevelio, alla Quadrelli di Ferrara, alla Biolcati di Bondeno e alla bella bionda di Palermo, della quale non riesco a ricordare il nome.
Con queste bambine-ragazze ho parlato, passeggiato, curiosato in giro per l'antico convento, messo in estate l'acqua sul davanzale della finestra per farla raffreddare, guardato la neve cadere d'inverno, comprato i krapfen al bar dell'ospedale e respirato lo strano odore dei bagni e della sala-gessi.
In quei luoghi ho desiderato tanto, ma tanto, di non doverci tornare mai più, nemmeno come turista.
Quarant'anni dopo, ci sono tornata col pensiero grazie a una fiction tv, e li ho cercati su Google con lo street view.
Vorrei tornarci da sola, per una visita intima ai miei luoghi della memoria.
L'antico convento dev'essere ancora lì, ad aspettarmi, per accogliere la mia commozione.